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Ovidio


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autore
brano
 
Apuleio
Della magia, 25
 
originale
 
[25] Nonne uos puditum est haec crimina tali uiro audiente tam adseuerate obiectare, friuola et inter se repugnantia simul promere et utraque tamen reprehendere? at non contraria accusastis? peram et baculum ob auctoritatem, carmina et speculum ob hilaritatem, unum seruum ut deparci, tris libertos ut profusi, praeterea eloquentiam Graecam, patriam barbaram? quin igitur tandem expergiscimini ac uos cogitatis apud Claudium Maximum dicere, apud uirum seuerum et totius prouinciae negotiis occupatum? quin, inquam, uana haec conuicia aufertis? quin ostenditis quod insimulauistis, scelera immania et inconcessa maleficia et artis nefandas? cur uestra oratio rebus flaccet, strepitu uiget? Aggredior enim iam ad ipsum crimen magiae, quod ingenti tumultu ad inuidiam mei accensum frustrata expectatione omnium per nescio quas anilis fabulas defraglauit. ecquandone uidisti, Maxime, flammam stipula exortam claro crepitu, largo fulgore, cito incremento, sed enim materia leui, caduco incendio, nullis reliquiis? em tibi illa accusatio iurgiis inita, uerbis aucta, argumentis defecta, nullis post sententiam tuam reliquiis calumniae permansura. quae quidem omnis Aemiliano fuit in isto uno destinata, me magum esse, et ideo mihi libet quaerere ab eruditissimis eius aduocatis, quid sit magus. Nam si, quod ego apud plurimos lego, Persarum lingua magus est qui nostra sacerdos, quod tandem est crimen, sacerdotem esse et rite nosse atque scire atque callere leges cerimoniarum, fas sacrorum, ius religionum, si quidem magia id est quod Plato interpretatur, cum commemorat, quibusnam disciplinis puerum regno adulescentem Persae imbuant -- uerba ipsa diuini uiri memini, quae tu mecum, Maxime, recognosce:[??..].
 
traduzione
 
Come mai non vi vergognate di produrre seriamente dinanzi a tale magistrato tali capi di accusa frivoli e contradittori, colpendoli ugualmente di biasimo? E non vi siete forse contraddetti incolpando la bisaccia e il bastone di austerit?, le poesiole e lo specchio di scostumatezza, e trovando in un solo servo lo spilorcio, in tre liberti lo scialacquatore e l'eloquenza greca in un barbaro? Svegliatevi una buona volta e ricordate di parlare dinanzi a un magistrato severo che deve accudire agli affari di tutta la provincia; tralasciate, dico, queste ingiurie vane e dimostrate le colpe di cui mi avete accusato, i feroci delitti, i vietati malefic?, le nefande macchinazioni. Perch? nelle prove tanta mollezza e negli schiamazzi tanta energia? Eccomi arrivato all'accusa di magia, a quell'incendio che acceso con grande baccano, per mia rovina, contro la comune aspettazione ? svanito fra non so quali storielle da vecchie comari. Non vedesti tu mai, Massimo, uno di quei fuochi di stoppia che scoppiettando sonoro divampa immenso a un tratto e poi cade, ch? ? paglia, senza lasciare pi? nulla? Eccoti quell'accusa: cominciata con le ingiurie, nutrita di chiacchiere, difettosa di prove, dopo la tua sentenza non lascer? pi? veruna traccia della calunnia. Poich? per Emiliano tutta l'accusa fu compresa in questa sola imputazione, che io sono un mago, voglio chiedere ai suoi eruditissimi avvocati, che cosa sia il mago. Siccome io leggo in numerosi autori, mago ? nella lingua dei Persiani quello che ? da noi il sacerdote; e allora qual delitto ? dopo tutto essere sacerdote, avere la conoscenza, la scienza, la pratica delle ordinanze rituali, dei precetti della religione, delle regole del culto? Questa ? almeno la definizione che Platone d? della magia quando ricorda con quali discipline i Persiani educhino al regno il giovane principe. Ho nella memoria le parole di quell'uomo divino: e tu, Massimo, ricorda con me: ?All'et? di quattordici anni lo ricevono quelli chiamati regi pedagoghi. Sono scelti tra i Persiani i quattro ritenuti migliori, di et? matura: il pi? saggio, il pi? giusto, il pi? temperante, il pi? coraggioso. Dei quali uno insegna la magia di Zoroastro figlio di Oromazo: e questo ? il culto degli d?i. Insegna anche l'arte del regnare?.
 

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